Erano gli ultimi giorni di novembre quando era entrata nella nuova casa. Aveva chiuso la porta, aveva appoggiato le borse in terra e si era guardata intorno, pensando alle cose che avrebbe cambiato e quelle che presto non avrebbe notato più. La casa non era abitata da molto tempo, e fuori faceva freddo. Ma non come in autunno, piuttosto come nelle gelate che arrivano a sorpresa su una primavera avanzata e ne spengono gli entusiasmi con cinico compiacimento.
Quella notte non aveva chiuso occhio. Il freddo l’aveva tenuta sveglia fino all’alba, e quando finalmente si era assopita era stata scossa da voci che sovrastavano altri suoni sopra la sua testa, come se qualcuno trascinasse oggetti per tutta la casa. Dopo qualche tempo i rumori erano cessati, ma non le era più riuscito di dormire.
La notte successiva grazie alla stanchezza, la temperatura mite della stanza e la totale cancellazione dei fatti di quella mattina si era addormentata quasi senza accorgersene, ascoltando fuori dalla finestra le stagioni che si accordavano tra loro per recuperare le rispettive posizioni.
Mentre seguiva ad occhi chiusi i mattutini tentativi dell’autunno di scavalcare all’indietro il capodanno, il violento rimescolamento del suo soffitto con il pavimento altrui la fece sobbalzare, facendo scomparire alla sua vista i primi giorni di dicembre proprio mentre passavano di fianco all’Epifania.
Balzò giù dal letto, uscì sul pianerottolo lasciando la porta aperta e cominciò a macinare scale a grandi balzi, superando ora due, ora tre o forse più gradini alla volta, per ritrovarsi in quello che immaginava essere il piano superiore al suo e che doveva contenere l’uscio dietro il quale si celava la causa delle sue veglie.
I rumori sembravano cessati, o almeno erano diminuiti sotto la soglia del suo respiro. Quando questo cominciò a calmarsi, un contrappunto di bisillabi tronchi e rigurgiti fuori tempo iniziò a dialogare con il ritmo del suo battito, arrivando lentamente a articolare una melodia inframezzata di zittii e risatine che piano piano si rafforzava suggerendo un ritorno ai volumi aurorali.
Bussò in direzione delle voci, e queste cessarono. Colpì ancora, una e più volte, con intervalli di tempo sempre più brevi tra una raffica e l’altra. All’aumentare della forza con cui le nocche percuotevano la superficie si iniziavano a sentire sussulti più lunghi e di maggiore intensità, che iniziarono presto ad accompagnarsi di grugniti, mugugni e soffi di vario genere che stavano per sfociare in un continuo quasi musicale quando di colpo la porta si aprì.
Una composizione di due figure curve di diversa grandezza e densità si frapponeva tra gli occhi di lei e la luce che, provenendo da alcune fessure in una finestra lontana, cercava di avanzare nell’aria umida e buia di quelle stanze senza età.
Le due sagome acquistavano lentamente definizione, lasciando intuire maturità diverse ma una certa uguaglianza di tratti e movimenti. I loro sguardi si agitavano di continuo, senza mai dirigersi a lei ma senza nemmeno incrociarsi tra loro, come cercando qualcosa che avevano appena perso e di cui entrambe abbisognavano prontamente.
Mentre faceva le sue rimostranze circa la natura e l’ora di quelle attività il movimento dei loro occhi rallentava e diminuiva di ampiezza, focalizzandosi su una porzione di spazio condivisa e più limitata quasi a mostrare comprensione e comune rammarico per l’accaduto.
Chiusa la porta con cautela per non schiacciare le diagonali che si ritiravano verso l’interno aveva affrontato la discesa con impeto diverso dall’andata, al punto che giunta sul pianerottolo non avrebbe saputo dire se si trattava del suo o si trovasse diversi piani più in basso.
Fuori le stagioni si erano temporaneamente fermate, impedite dal mutuo movimento contrario.
Nei giorni seguenti trasferì le sue cose nel nuovo appartamento, nel quale rimaneva lo stretto necessario senza passarvi la notte. In quei momenti dal soffitto non giungeva alcun suono, così l’immagine delle figure cominciò lentamente a sgranarsi, e alla fine del trasloco era scomparsa.
***
Nonostante vedesse rimbalzare ancora sulle pareti le voci degli amici che defluivano sulle scale dopo la festa, per un attimo il suo pensiero guizzò verso l’alto, in un gesto involontario che subito si ripiegò su sé stesso posandosi sul pavimento.
Ferme le voci, tutto era immerso nel silenzio. Si buttò vestita sul letto, addormentandosi senza sentire il solstizio che riprendeva il cammino verso casa.
Il forte sobbalzo prodotto dal suo tentativo di riposizionamento la svegliò. Il cielo si apriva, scosso da resistenze al ricomponimento dell’ordine.
Si alzò e si diresse verso la porta, ma quando si trovò sul pianerottolo si bloccò, era giusto che le cose tornassero al loro posto oppure no, forse bisognava aspettare e assecondare il movimento, in fondo avrebbe potuto ancora essere Natale, quindi meglio tornare indietro e fare come se dovesse arrivare davvero, poteva preparare dei dolci e condividerli con loro, questo avrebbe aiutato, allora rientrò in casa, chiuse la porta e si mise a impastare, e quando ebbe finito accese il forno, il cui calore però ostacolava lo zenit ad abbassarsi, vi mise la forma e aspettò, mentre intorno a lei la mattina discuteva sui propri orari di presenza.
Finita la polemica affrontò la salita, che era diversa dalla prima volta, forse il numero dei gradini che superava ad ogni passo influenzava il tempo che ci metteva ad arrivare o forse cambiava la distanza che doveva percorrere, fatto sta che non riusciva a capire se fosse arrivata oppure no, il frastuono questa volta non diminuiva quindi forse era molto vicina, e si chiedeva a quale delle porte che le scorrevano accanto dovesse bussare quando una si aprì, e due figure le apparvero a distanza diversa quindi con dimensioni differenti e variabili, e allungando le mani verso quello che lei gli porgeva la ringraziarono sentitamente.
Tornando giù avvertiva che qualcosa era cambiato. La larghezza degli scalini non poteva influire sulla velocità di discesa, eppure ora le sembravano più piccoli di prima. Arrivata nel suo appartamento lo trovò più tranquillo, come se la tensione delle spinte opposte si fosse calmata. Sentiva chiaramente che la primavera stava per finire.
Le salite si intensificarono. Con l’avvicinarsi delle festività, qualunque esse fossero, si obbligò a preparare dolci ogni giorno e a portarli di sopra.
Forse anche a causa dell’impercettibile posticiparsi del crepuscolo la durata delle ascensioni era adesso sempre diversa. Per verificare se il numero dei gradini passati in un salto fosse determinante si obbligò a farli uno per uno, ma anche così la percezione del tempo e della distanza variava in continuazione, il che le rendeva difficile definire il concetto di velocità.
Con il passare dei giorni le visite si accumulavano, e i rumori mattutini diminuivano di intensità e frequenza. Gli spostamenti dell’ora del tramonto somigliavano ora a piccole vibrazioni, quasi scatti nervosi intorno a un centro che si calmavano solo all’arrivo dell’oscurità.
I giorni precedenti il Natale una luce estiva si impossessò della città. Non era chiaro se facesse caldo o freddo, ma tutti erano pervasi da una sensazione di gratitudine e sconforto.
Il giorno della vigilia preparò il dolce più grande che avesse mai fatto. Lo decorò con cura, lo avvolse in un panno ricamato e iniziò l’ascesa delle scale. Passando ogni gradino sentiva come in fondo l’unico parametro che fosse davvero importante era lo slancio con cui affrontava la salita, e che il resto erano solo variabili dipendenti tra loro la cui oscillazione non era che il frutto dell’incapacità di mettere in relazione la complessità con l’energia di partenza.
Quella volta si fermò più tempo del solito davanti alle figure, che soprese accarezzavano il dono con una danza calma di sguardi morbidi e riconoscenti. Poi rimase davanti la porta chiusa, cercando di impararne a memoria ogni dettaglio. Cominciando la discesa, capì di sapere esattamente per la prima volta di quanti gradini fosse composta, e che tutto il resto non contava più nulla.
***
Aprì gli occhi nella luce invernale. Doveva essere molto tardi o doveva aver dormito molto profondamente, e non arrivava nessun rumore dal piano di sopra. Si alzò e andò alla finestra. La tensione era scomparsa, la lotta era finita. Un’aria di dicembre avvolgeva le cose e le persone che camminavano tranquillamente in strada.
Avvicinò una sedia alla porta, si sedette e cominciò a aspettare. Al di là del legno sentiva le scale scandire lo scorrere del tempo ritrovato. Non sapeva quanto ci sarebbe voluto, e non importava. Sapeva cosa sarebbe successo, e già cominciava a vederlo accadere attraverso l’uscio chiuso. Le persone che si radunano sul pianerottolo, sempre più numerose. Le voci che si sovrappongono, aumentando in intensità e in altezza. La sorpresa che si fa ansia, preoccupazione, paura, poi fermezza, coraggio e azione, un suono di legno che si apre, due nomi, poi grida, altre grida, pianti, lamenti, e stupore, di cosa, del tempo che ha ricominciato a muoversi nella giusta direzione, ancora per un po’ i rumori avranno il ritmo dei momenti straordinari ma tra poco si calmeranno e torneranno quelli di sempre con sollievo delle voci che hanno recuperato l’altezza e il volume di ogni giorno, passi inconsapevoli scenderanno le scale senza domandarsi da quanti scalini sono composte o in quanto tempo giungeranno in basso, del resto alle due figure che stanno portando non interessa più che a loro, e quando tutti saranno all’aperto il grumo di forme, momenti, distanze e ricordi si chiuderà su sé stesso e scomparirà del tutto, e nessuno si ricorderà che pochi giorni fa era piena estate.
Passato il corteo, finito il ricordo, si alza dalla sedia e va in cucina. Prende tutte le cose con le quali ha preparato i dolci in questi giorni, le forme, i cucchiai, la farina, lo zucchero, poi sale su una sedia e con la mano cerca una piccola boccetta sulla mensola in alto, la trova, la guarda, è quasi finita. La mette insieme al resto, e quando finalmente si ritrova in strada si ricorda del primo giorno in cui è entrata nella casa, e sorride, si era sbagliata, non aveva minimamente immaginato che avrebbe buttato tutto questo.
… come in un film, flashbac, un chiaro scurscuro. Una canzone dimenticata, Summertime. Racconto di Natale, quel Natale tra oggi e domani… Intrappolato tra la dolcezza del sogno, del sapore di oggi ed un retrogusto acidulo di domani… Post feste… Sorpresa, ansia, preoccupazione e poi paura… Paura di quella “normalità”… Nella banalità di gesti quotidiani come assemblare componenti per fare un dolce e buttare tutto via… Buttare via il ricordo.
L’aspettativa nell’atto creativo… Un grande dolce! L’ossessione, compulsiva… Controllo, perenne… Diagonali, scalini su scaliscalini…
“Imparare a memoria ogni dettaglio”…
Eppure, in tutta questa “rarazionalità”, la voglia di dimenticare come si controlla per imparare a cadere.
Intenso… Reale… Questo racconto ha il sapore della realtà come il sangue del ginocchio sbucciato o del bacio rubato.
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