Il bosco infinito
Per quanto lontano andasse con la memoria, Margaux non ricordava di aver mai fatto sonnellini in vita sua. Essendo piena di energia, l’aveva sempre considerata un’abitudine da deboli, una scusa per eludere le responsabilità della vita, una maniera poco elegante di sfuggire a una conversazione e, non ultimo, un basso espediente per sottrarsi all’insostenibile noia della nostra stessa presenza.
Ma una mattina di aprile, forse a causa dell’aria piena di profumi di altre primavere, o per il sopraggiungere di nuovi suoni a frammentare il silenzio che per mesi aveva misurato il bosco intorno alla casa, Margaux, seduta nella terrazza che interrompeva la discesa della montagna verso valle chiuse gli occhi, e si addormentò. Al risveglio, mentre stirava le braccia allontanando i pugni dal viso, buon giorno, si disse, che splendida giornata, e andò in cucina a prepararsi la colazione, ma non prima di aver messo una croce a matita su un nuovo quadratino del calendario. Versò nel lavandino il contenuto ancora tiepido della teiera e mise a bollire altra acqua, mentre in un piattino appena liberato dalle briciole impilava nuove fette di pane. Il fatto di avere meno appetito del solito non le tolse il buonumore, e lasciando a dopo il riassetto della cucina si diresse all’esterno per cominciare una nuova giornata di lavoro.
Per alcuni giorni non accadde nulla di insolito. Poi, un pomeriggio, forse per la fatica, o per gli anni che avevano reso più ripido il sentiero che dal bosco portava alla casa, lasciò cadere sulle scale i rami appena raccolti e vi si adagiò sopra chiudendo gli occhi. Al risveglio, perfettamente riposata, corse in casa per mettere l’acqua del tè e disegnare una nuova croce, lasciando la legna a riposare sui gradini. La mattina non sembrava così luminosa ma lei non si fece intimorire, e terminata la colazione uscì con l’energia di sempre. Certo, un poco era stupita nel vedere il sole tramontare così presto, vedi, ho lavorato con tanta foga che mi è passata la giornata in un attimo, ma lo prese dal lato positivo, il segno che nonostante l’età era in ottima forma, si sentì forte e felice, e piena di progetti per il futuro.
Con l’avanzare della primavera e l’arrivo di temperature più miti i brevi momenti di riposo iniziarono a farsi più frequenti, insieme alle croci nel calendario. Margaux non sembrava preoccuparsene, e presto si abituò a dormire con la luce del sole che filtrava di notte dalle persiane e a lavorare in giardino nonostante l’oscurità di certe mattine di maggio.
I primi problemi arrivarono dopo una rapidissima estate, quando l’autunno più caldo che potesse ricordare impedì alle foglie di ingiallire e cadere, e convinse gli uccelli a rimandare la partenza. Allora tirò fuori coperte e maglioni, e mise la legna nella stufa dicendosi che prima o poi l’inverno sarebbe arrivato.
Alla fine ebbe ragione. Tardi ma arrivò, il freddo, anche se dopo un Natale di altre latitudini, portando via le foglie di marzo e imbiancando i pendii che si preparavano a fiorire di nuovo.
Le stagioni cominciavano a rincorrersi velocemente. Primavere ostili succedevano a inverni torridi, e gli alberi più anziani morivano per le potature precoci mentre le giovani piante non riuscivano a spuntare dal terreno ghiacciato. Margaux lavorava sempre più duramente contro la ribellione della natura seminando sotto le zolle indurite dal gelo, sradicando germogli cresciuti al momento sbagliato, lasciando marcire i frutti sui rami perché non sarebbero dovuti essere lì.
Sul finire dell’anno scese in paese e comprò un nuovo calendario, e si infuriò quando cercarono di venderle quello dell’anno che stava terminando. Da quel momento decise di farli da sé, con semplici disegni che lei stessa eseguiva su fogli bianchi sui quali tracciava i riquadri con il dorso di un libro. Occupata solo a difendere la normalità si logorava per mettere le cose al loro posto, cercando di adattarsi ai continui cambiamenti e allo stesso tempo ripristinare l’ordine naturale.
Era di nuovo la fine d’anno quando dopo una giornata scandita da quattro croci, mentre decorava il calendario che presto avrebbe sostituito quello vecchio si sorprese a disegnare per il mese di gennaio delle rondini che volavano sopra il tetto della sua casa. Colta di sorpresa, lasciò che le sue dita tracciassero un’esplosione di fiori per il mese successivo. Tutti i fogli dell’anno si riempirono di una danza improvvisata di sole, neve, pioggia, grandine, luci, ombre, rami morti e nuovi fiori.
Da quel giorno, ogni volta che usciva di casa entrava nel bosco e si lasciava sopraffare dalla meraviglia. Il tempo che prima sembrava volare accorciando i giorni e avvicinando le stagioni ora cominciava a rallentare. I pomeriggi inebriati dal gelsomino nella neve erano lunghissimi, e i tramonti duravano giornate intere. Se il sole del mattino faticava a farsi strada tra i sogni di fine agosto, i suoi raggi creavano poi lunghi riflessi sul ghiaccio del patio. Iniziò ad amare la normalità delle sovrapposizioni, le sembrava che avessero un significato che ora riusciva a vedere, si sentiva in armonia con ciò che la circondava e capì che quello che le era sembrato indecifrabile era solo la molteplicità della natura dove sempre coesistevano tutti gli stadi delle cose, aspetti diversi di un’unica essenza racchiusa in un punto talmente denso da non poterne sopportare la vista, per questo il tempo scioglieva gli eventi davanti ai nostri occhi permettendoci di vederli separatamente, ma una volta che riuscivamo a bloccare lo sguardo il tempo si fermava perché non più necessario, potevamo scorrere lungo la vita delle cose in un solo attimo senza fine, senza più età, stanchezza, o dolore, perché sempre coesistevano con il loro opposto, che lo giustificava e lo rendeva vivibile, c’era un senso di giustizia in quella visione, e di pace, Margaux non sentiva più il bisogno di correre in casa per prepararsi la colazione o andare a dormire, e le croci sui fogli avevano smesso di proliferare, perché già non distingueva più l’inizio di un giorno dalla fine di quello precedente, non sapeva se stava con gli occhi chiusi o aperti, tanto che per capirlo si cercava nello specchio della camera da letto dal quale a volte una bambina, a volte una vecchia la guardavano cercando qualcosa che non si rifletteva totalmente in loro, anch’esse con gli occhi chiusi o aperti, che ormai avevano capito che non faceva differenza, in fondo quando lei aveva iniziato a chiuderli aveva cominciato a vedere, il bosco, che adesso riconosceva in un angolo dello specchio, se muoveva un poco la testa riusciva a vederne di più, ma presto si accorse che non serviva perché quella piccola parte lo conteneva tutto, se fermava lo sguardo in un punto si apriva un sentiero che indipendentemente dalla direzione lo attraversava nella sua totalità, cosa che lei non riusciva a immaginare ma che alla fine la riportava a vedere sé stessa, davanti lo specchio a fissare un punto diverso ma simile, e allora da quei boschi non si allontanò più, la sua immagine iniziò a confondersi nel labirinto di rami e se chiudeva gli occhi in un sentiero li trovava aperti in quello successivo, e così via, e mano a mano che gli occhi le si indebolivano iniziarono a vedere anche se non si guardavano, perché già non erano più loro ma il bosco che si guardava, chiaro ripiegamento del tempo, causa ed effetto, inizio e fine.
Roma, 24/12/07