Giunti al porto del nord dopo aver attraversato il paese senza conoscerlo, i due fratelli si guardarono per la prima volta dalla partenza e si dissero con gli occhi che erano ormai alla fine del viaggio. Si sbagliavano due volte, perché il viaggio che avevano immaginato era appena cominciato, mentre un altro era terminato per sempre.
Vagheggiata da un paese dell’entroterra siciliano l’America era un’immagine esotica e misteriosa, coperta da rocce ed elicriso fittissimo e sovrastata da enormi querce, in cui dolci dai colori sensuali si accompagnavano a liquori dal sapore proibito. Così che quando si trovarono incolonnati in due file separate, quello la cui fantasia era sempre bastata per entrambi continuò a condividere con l’altro la meraviglia dell’attesa senza accorgersi che le file si dirigevano verso navi differenti.
Durante la navigazione non si erano cercati, perché il rumore delle grandi macchine aveva preso possesso dei loro pensieri tenendoli lontani da illusioni e nostalgie. All’arrivo, il sognatore aveva immaginato più volte di riconoscere il fratello, e così nel treno che per lunghi giorni aveva percorso la terra disabitata, alla fine della quale alte montagne azzurre toccavano il cielo stabilendo la fine del mondo.
In quel deserto lambito dalle nevi iniziò una vita di fatica, tra botti di legno e asado la domenica, vino aspro e acqua che scendeva dai monti, strade percorse da canali d’acqua e sole che obbligava a dormire il pomeriggio. Smise di riconoscere il fratello nella folla del mercato o nel viavai delle feste, ma iniziò ad accendere la radio ogni sera, certo che un giorno vi avrebbe ascoltato sue notizie. L‘attesa si concentrava soprattutto la notte di Natale, quando la radio disegnava nella piccola cucina storie di ricongiungimenti, viaggi a ritroso nel tempo e strade che si ripiegavano su se stesse. Seduto con la mano appoggiata alla scatola di legno, Natale dopo Natale il fratello diventò padre, poi zio, e infine nonno. E quando la nipote cresciuta con i suoni della scatola iniziò a cantare e a viaggiare, subito si accorse di seguire strade che lei già conosceva.
Tempo dopo, muta ormai la radio, una di quelle strade la portò in un’America capovolta in cui s’intrecciavano storie diverse in fondo alle quali c’era un teatro fatto di luci abbaglianti. Quando in camerino il fragore degli applausi si era spento, sulla porta era apparso un piccolo uomo che la pregava di seguirlo da una persona che sperava di conoscerla. In fondo a labirinti che portavano a una stanza riccamente arredata, seduto sulla sedia come lo aveva visto sempre, suo nonno la guardava. Senza la radio, con altri vestiti, più vecchio di com’era riuscito a diventare. Ma con gli stessi occhi, e lo stesso sorriso accompagnato dal gesto della mano che la chiamava a sé. Le si avvicinò, e il nonno si rifece subito zio, poi padre, e infine fratello. In quell’istante capì di essere soltanto uno, irrimediabilmente. Allora con un cenno rimise la nipote sul suo cammino, che adesso lei doveva percorrere da sola.
Roma, 25/12 /2021
[Questa è una storia vera, che mi è stata regalata da un’amica. Grazie, Veronica]
