Racconto dei Natali 2019

Da qualche tempo scrivo ogni anno un racconto per Natale, che puntualmente invio a amici e parenti non prima della vigilia e non dopo la Befana. Nonostante ciò, da qualche anno con l’avvicinarsi delle festività inizio a ricevere messaggi di vario tipo, da semplici punti interrogativi in numero da uno a quattro fino a rimostranze più strutturate, Allora quest’anno niente racconto, o Dato che quest’anno non ci sarà il raccontoVisto che non arriva il racconto, fino al lapidario Ultimamente,  questo appuntamento, con dispiacere per noi, è purtroppo venuto meno.

Oltre al piacere nel scoprire l’attesa che accompagna i pochi interessati, questo mi spinge a riflettere su come il Natale influisca sulla percezione temporale di tutti noi.

Da bambino avevo difficoltà ad addormentarmi. Avendo notato che durante il sonno non c’è consapevolezza dello scorrere del tempo, avevo paura di chiudere gli occhi per svegliarmi al mattino già vecchio e con tutta la vita alle spalle. Perplesso su come avrei accumulato le memorie di una vita che non ricordavo di aver vissuto, mi dicevo che probabilmente le avrei sognate tutte in quell’ultima notte.

A quel tempo dividevo la cameretta con mia sorella maggiore, che con mia grande invidia si addormentava immediatamente. Io la fissavo dal letto, riflettendo su come stessimo condividendo la stessa realtà spaziale ma non quella temporale, visto che ci trovavamo nello stesso luogo ma per lei era già mattina. Ora credo che stavo osservando come il tempo sia solo la consapevolezza del suo stesso fluire.

Per me bambino l’anno scorreva in modo disomogeneo, con pochi episodi centrali a scandire la distanza fra gli altri eventi, tra cui il più importante era sicuramente il Natale. Al tempo delle riflessioni notturne avevo già notato come la distanza tra i Natali non fosse sempre la stessa. Quasi uguale per i primi che riuscivo a ricordare, era andata mano mano a diminuire, in una sorta di accelerazione che non solo li avvicinava tra loro ma influiva sulla loro specificità, rendendoli sempre meno distinguibili gli uni dagli altri.

Per contrastare questo scivolamento avevo iniziato a scrivere brevi appunti su ogni Natale, accompagnati da annotazioni personali su come lo avevo vissuto e ripromettendomi di leggerli solo dopo un certo numero di anni, in modo da fissarli su una struttura indeformabile e che ne preservasse la differenziabilità. Questa soluzione ha avuto indubbiamente l’effetto di infondermi fiducia per il tempo trascorso fino alla prima apertura, e poi ancora per un certo numero di letture che oggi considero sorprendentemente grande. A poco a poco, anche gli scritti si andavano strutturando, e mi trovavo a leggere quasi dei racconti. In realtà, a seguito di quelle letture il nuovo Natale si riempiva dei ricordi di uno passato e in qualche misura lo diventava. Con il tempo questo si ampliava e si moltiplicava, perché cominciavano ad arrivare Natali in cui confluivano altri Natali fatti a loro volta di Natali passati. La struttura, apparsa solida e affidabile, cedeva per essere basata solo su se stessa.

Un giorno, pensando a un nuovo racconto, mi sono accorto di non sapere se ne stavo scrivendo uno nuovo o leggendone uno passato. Era come se tutti i Natali fossero collassati uno dentro l’altro in un evento infinitamente complesso non più collocato nel tempo. La cosa sorprendente è che si era conservata la specificità di ogni dettaglio, ma a scapito di ogni possibile distribuzione temporale. Avevo raggiunto parte dei miei intenti, ma il tempo era stato sacrificato, e aveva smesso di essere. Questo comportava una notevole semplificazione, e alcune responsabilità. La prima, di essere sempre riconoscente a chi non è giunto ancora a questa consapevolezza e continuerà a inviarmi punti interrogativi dieci giorni prima della vigilia. La seconda e non ultima, di non leggere più di altri Natali, e in nessun caso scrivere mai di essi.

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