Racconto di Natale 2012

Quel pomeriggio la luce toccava Roma in maniera inusuale. Il sole, passato da poco il solstizio d’inverno, indugiava vicino all’orizzonte più a lungo del solito, inondando ogni cosa di un alito tiepido che risvegliava la nostalgia di primavere a venire e addolciva i contorni degli oggetti di un alone indefinito. Anche il fiume si riempiva di quell’aria, e restituiva al cielo un colore dorato che li rendeva indistinguibili, fusi in un unico piano su cui la luce non aveva origine o direzione, e dove le immagini riflesse non erano separabili da quelle reali, anzi, l’acqua le restituiva talmente luminose e definite che quest’ultime sembravano fantasmi stupiti della loro stessa illusione, e l’occhio esitava in basso come a preferire la finzione come inganno migliore della realtà. I suoni stessi sembravano provenire dal fiume, e usciti dall’acqua volteggiavano in aria sorpresi dall’inattesa libertà: voci di gente in movimento, respiri veloci per l’attesa, eco sovrapposte di mercati improvvisati dove già si raccoglievano le promesse in grandi sacchi per ritirarsi nella buia intimità delle piccole vite.

In un punto vicino allo sfaldamento dell’orizzonte ma senza poter discernere con assoluta certezza da quale parte, si scorgeva una piccola figura che, abbagliata dallo straordinario miraggio e stringendo al petto un oggetto dalla forma oblunga, si dondolava avanti e indietro per cercare di scoprire il punto in cui si univano questi elementi così diversi. I suoi contorni a volte sparivano tra le forme in continuo movimento, e il suo ondeggiare sembrava appartenere ora a un mulinello schiumoso ora a un refolo in rapida salita. Dopo un’oscillazione particolarmente pronunciata, forse perché le era sembrato di scorgere un punto di discontinuità o perché distratta dall’emozione, la cosa che premeva contro il corpo le sfuggì di mano, e con una perfetta parabola entrò a far parte della scena. Fermandosi di colpo e distogliendo l’attenzione da tutto il resto la figurina fu presa dall’angoscia, vedendo allontanarsi senza scampo il pasto speciale di quella sera, unica eccezione in un anno sempre uguale. Il pesce nuotava nel cielo riverso su un lato, tra cirri bianchissimi e rami galleggianti. La bambina non vedeva più nulla se non l’oggetto della sua disperazione, e lo inseguiva tenacemente sul bordo di quella transizione incerta. Il sole si abbassava, e ora lame di rosso intenso tagliavano la parte più vicina dello spazio intorno a lei, mentre lontano, sopra i tetti delle case che guardavano a occidente e sui muri dei vicoli che avevano saputo piegarsi nella giusta direzione, persisteva ancora quell’aura calda e dorata che, anche se minacciata da alcune zone d’ombra che si andavano allungando velocemente, restava aggrappata agli intonaci sbreccati e alle tegole sconnesse permettendogli di conservare la temperatura di qualche minuto prima. La bambina non si accorgeva del cambiamento, rincorrendo il pesce che non si allontanava ma che nemmeno le riusciva di raggiungere.

            Poi il sole fece uno scatto verso il basso. I mattoni che fino a quel momento erano riusciti a trattenere le frequenze più alte se le videro strappare, e l’ombra si riversò come acqua non trattenuta in ogni buco e anfratto disponibile, riempiendo e livellando le asperità che trovava sul suo cammino e preparando l’arrivo della notte equilibratrice. Il pesce fece una serie di balzi violetti, e l’attenzione della bambina tornò di colpo su quello che accadeva intorno a lei. In un punto del fiume che adesso riusciva a vedere si era formata una lunga frattura dove il cielo e l’acqua si separavano l’uno dall’altra, mentre la corrente soffiava come su una vela spingendo la crepa verso il mare. La bimba si fermò, affascinata dallo spettacolo ma anche dal desiderio di essere trasportata su quell’asimmetria verso l’ultima speranza per quella sera. Nel momento in cui la frattura la raggiunse sentì qualcosa cedere sotto i suoi piedi. Non riusciva più a fissare lo sguardo su un solo punto, perché il cielo e il fiume si scambiavano continuamente di posizione, e mentre cercava di ritrovare il pesce in mezzo alla sempre nuova organizzazione dello spazio strinse la mano se lo ritrovò tra le dita, adesso avvolto in un grigio spento che gli negava ogni agilità cromatica.

Sorridendo mise la mano sul petto e chiuse gli occhi, perché non c’era più nulla da guardare. Questo portò via gli ultimi lampi dalla città, consegnandola alle ore senza tempo della notte.

25/12 /2012

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