Il salmone affumicato non è mai dove ti aspetti. Non lo trovi al banco del pesce perché non è un prodotto fresco, ma neanche vicino ad altri alimenti sottovuoto ai quali potrebbe superficialmente somigliare, perché affettati e formaggi poco avrebbero da spartire con queste fettine di altre latitudini che si disferanno nel momento stesso in cui vorrai separarle. Quando finalmente lo vedo, tra panetti di burro e pasta sfoglia, lo sforzo con cui cerco di immaginare il motivo per cui la direzione del supermercato possa aver pensato che lo avrei cercato lì viene interrotto da un pensiero di livello più basso, quante confezioni ne devo prendere? A quel punto mi accorgo di non avere idea delle persone presenti questa sera a cena, istintivamente porto la mano in tasca alla ricerca del telefono e senza tirarlo fuori sfioro il tasto di chiamata rapida per lei, che persa nel centro commerciale alla ricerca di regali per i nostri ospiti non nutre certo il minimo dubbio sul loro numero. Prima che parta la chiamata alzo il dito, e mi blocco davanti allo scaffale dei salmoni in un movimento congelato a qualche anno fa, visibile solo all’ammasso di carne rosa di fronte a me in cui non è stato possibile far entrare gli occhi solo a causa delle confezioni ridottissime. Il ricordo si sovrappone al presente, con una precisione da incutermi il timore del più piccolo gesto che possa compromettere l’immagine che si sta materializzando davanti ai miei occhi: un’altra vigilia, un altro supermercato, una ragazza diversa a fare gli ultimi acquisti mentre mi occupo della spesa per la cena, la stessa domanda che mi porta la mano nella tasca della giacca, quanti saremo. Il suo cellulare non rispondeva. Fermo davanti a uno scaffale diverso ma sempre senza occhi, continuavo a premere il tasto, senza spostarmi di un passo e senza successo. Forse in quella zona del negozio non c’è campo. Forse le linee sono sovraccariche, o è al telefono con un’amica. Forse la batteria è scarica. Dopo molte chiamate, quando il supermercato stava ormai per chiudere e sono stato costretto ad allontanarmi dal bancone, unico testimone di quell’intima e silenziosa tragedia, mi sono avviato verso le casse con la mia spesa incompleta, affrontando lo sguardo vuoto degli impiegati che non mostravano la minima comprensione per ciò che stava succedendo. Sarà per questo che a pochi metri da loro ho lasciato il carrello, mi sono girato su me stesso e sono tornato tra più sensibili prodotti con il passo di chi ha dimenticato qualcosa. Ho sostato qualche istante per approfittare del loro conforto, poi ho percorso il resto del negozio e senza che nessuno mi vedesse ho riattraversato la porta da cui ero entrato solo poche ore prima, più leggero e diverso.
Lei non rispose, quella sera, né quella successiva, e nemmeno alla fine degli interminabili giorni di festa, in cui gli amici si affrettarono a rassicurarmi che per fortuna non le era successo nulla, ma grazie a Dio aveva solo deciso di lasciarmi.
Mi separo a fatica dallo scaffale, alzando il dito dal telefono. Tolgo la mano dalla tasca, e rivolgo uno sguardo non ricambiato all’innocente montagna di fettine cieche che attendono una mia decisione. Allora afferro il carrello e con slancio mi dirigo verso la gente felice che affolla le casse, guardo con antico rancore gli impiegati negli occhi e stirando il collo verso l’alto dico ad altissima voce dentro di me, quest’anno niente salmone.
24/12/2010
Forte descrizione… ansiosa… di come sisno radicati i ricordi… radicati ed allo stesso tempo suscettibili a cambiamenti… sarebbe stupendo poter dare nuova interpretazione al “salmone affumicato”… “Quest’anno il salmone lo mangio da solo… ascoltando il 2 concerto di Rachmaninov… accompagnato da una bella bottiglia di Villa Gemma… oppure… nel momento in cui decido di tornare indietro e posare il salmone nella consapevolezza di essere tristemente solo, in quel momento incontro la mano di Lei, che cerca il salmone, terminato… nel porgerlo le mani si sfiorano e nasce il sapore… la vita… la vita deve avere sapore… bellissimo racconto… attraente.
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